Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la legge 76/2016 sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, meglio nota come Legge Cirinnà.
La nuova legge non è passata inosservata all'attenzione dell'opinione pubblica e dei mass media: notevoli sono state le polemiche che hanno accompagnato il travagliato iter legislativo, faticosamente conclusosi lo scorso 11 maggio, con l'approvazione alla Camera dei Deputati del testo definitivo della legge.
L'interesse dei commentatori si è concentrato soprattutto sulle unioni civili, e non a torto: il nuovo istituto, ispirato al matrimonio e riservato alle coppie same-sex (stesso sesso), è certamente il nucleo di rottura rispetto al passato, la cui indiscutibile portata rivoluzionaria ha fatto della legge 76/2016 la più importante riforma del diritto di famiglia italiano degli ultimi 40 anni.
E' invece passata quasi in sordina la riforma delle convivenze di fatto. Anche in questo ambito, però, si riscontrano nella legge 76/2016 importanti elementi di novità, destinati ad incidere in maniera immediata, a seguito dell'entrata in vigore della legge, nella vita quotidiana di milioni di persone che, per scelta o necessità, convivono formando una famiglia di fatto senza essere legati dal vincolo del matrimonio o dell'unione civile.
La legge 76/2016 ha, infatti, esteso ai conviventi di fatto una serie di diritti e doveri reciproci tipici del matrimonio, con ciò facendo venir meno una delle principali differenze tra la convivenza ed il vincolo coniugale.
La modifica attiene il rapporto tra i partner, mentre nulla cambia per quanto riguarda i figli: per effetto della riforma della filiazione degli anni 2012-13, i figli sono oggi tutti uguali davanti alla legge, indipendentemente dal vincolo giuridico che lega i genitori.
Cos'è la convivenza di fatto secondo la legge 76/2016?
Secondo la legge 76/2016, sono "conviventi di fatto" due persone, etero o omosessuali, unite stabilmente da legami di coppia affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, non legate da parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile.
La legge non prevede che i conviventi debbano rilasciare una dichiarazione formale all'ufficiale di stato civile. E' necessaria, però, la convivenza effettiva dei partners sotto lo stesso tetto, dal momento che la legge 76/2016 richiede, per la dimostrazione del rapporto di convivenza, che il dato risulti dallo stato di famiglia anagrafico.
Diritti e doveri reciproci dei conviventi
In forza della legge 76/2016, i conviventi oggi sono tenuti, come i coniugi, a rispettare
- l'obbligo di coabitazione,
- l'obbligo di reciproca assistenza morale ed economica, nonchè
- il dovere di contribuire alle esigenze della famiglia.
Ed inoltre, il rapporto di convivenza determina il sorgere di alcuni diritti reciproci, ed in particolare:
- il diritto al risarcimento del danno in caso di decesso del partner o di lesioni ai danni del medesimo ( in questo caso il legislatore ha trasferito in precetto normativo l'elaborazione giurisprudenziale in materia di responsabilità civile),
- il diritto al subentro nel rapporto di locazione,
- il diritto di visita e di accesso alle informazioni sanitarie personali in caso di malattia o di ricovero del convivente;
- il diritto di visita e le prerogative previste per il coniuge in materia di assistenza penitenziaria;
- il diritto all'assegnazione degli alloggi di edilizia popolare.
Come il coniuge, inoltre, il convivente potrà essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno del partner ed avrà diritto ad essere informato su eventuali procedimenti relativi alla limitazione della capacità giuridica del compagno.
In materia di impresa familiare, la legge 76/2016 ha introdotto il nuovo articolo 230 ter nel Codice Civile che garantisce al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente una partecipazione agli utili dell'impresa, ai beni acquistati ed agli incrementi.
La partecipazione è proporzionale al lavoro prestato e non spetta quando il rapporto di collaborazione sia ufficializzato in forma societaria o di rapporto di lavoro subordinato.
La "designazione preventiva" del convivente
Certamente innovativa è la disciplina della designazione preventiva del convivente come proprio rappresentante in caso di morte o di incapacità. Nulla di simile è previsto nel nostro ordinamento per il coniuge o la persona unita civilmente.
A mente della legge 76/2016, il convivente potrà indicare l'altro convivente come suo rappresentante con poteri pieni o limitati per le decisioni sanitarie in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, ed in caso di morte per le decisioni che riguardino la donazione degli organi, il trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
Per la designazione è sufficiente una dichiarazione scritta autografa, senza necessità di autentica da parte di pubblico ufficiale. In caso di impossibilità di redigerla, è necessaria la presenza di un testimone.
Cosa sono e a cosa servono i contratti di convivenza
La legge 76/2016 ha introdotto una specifica e dettagliata disciplina normativa per i contratti di convivenza, cioè i contratti con i quali i conviventi possono disciplinare gli aspetti economici del loro rapporto.
Già prima della riforma, i contratti di convivenza erano ammessi nell'ordinamento, come contratti atipici, la cui validità era riconosciuta dall'interpretazione giurisprudenziale e dalla dottrina più avanzata. Si trattava, tuttavia, di uno strumento assai poco conosciuto ed utilizzato: del resto, è naturale che se due persone scelgono di non formalizzare il rapporto unendosi in matrimonio, ugualmente non sentano alcuna necessità di regolare in un contratto i profili patrimoniali della loro unione.
Ed anche a seguito della riforma, la sottoscrizione del contratto di convivenza rimane una facoltà per la coppia, e non un obbligo. Per chi volesse farlo, ora è certamente più semplice, dal momento la legge 76/2016 ha disciplinato in modo dettagliato i requisiti di forma e di sostanza necessari per la piena validità del contratto, prevedendo in modo dettagliato anche le modalità di recesso dal vincolo.
E' bene sottolineare che il contratto di convivenza potrà riguardare soltanto rapporti patrimoniali relativi alla vita comune, e non i rapporti personali tra i conviventi o i rapporti con i figli. Le clausole relative ai rapporti personali e con i figli sono nulle.
La legge stabilisce espressamente che il contratto di convivenza potrà disciplinare:
- l'indicazione della residenza comune,
- le modalità di contribuzione alle necessità della vita comune, in relazione alla capacità economica e lavorativa dei partner,
- la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni prevista per il matrimonio.
Non è espressamente prevista, ma non neppure è esclusa, la possibilità per i conviventi di regolamentare le conseguenze della cessazione dell'unione.
Il contratto di convivenza potrà essere modificato in qualsiasi momento, nelle forme dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
La legge 76/2016, infatti, stabilisce che per la validità del contratto è necessaria la forma scritta dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato.
Per poter essere efficace nei confronti dei terzi, il contratto dev'essere trasmesso, entro 10 giorni dalla sua sottoscrizione, al comune di residenza dei conviventi, ai fini dell'iscrizione del contratto nei registri anagrafici nei quali è registrata la convivenza. La trasmissione verrà effettuata a cura del professionista (notaio o avvocato) che ha autenticato il contratto.
Il contratto di convivenza si risolve per morte di una delle parti o nel caso in cui uno dei firmatari contragga matrimonio o si unisca civilmente con un'altra persona. Ed inoltre, si scioglie per volontà di entrambe o di una sola delle parti.
Nel primo caso, i conviventi dovranno entrambi sottoscrivere un documento, autenticato dal notaio o dall'avvocato, con cui invalidano il precedente accordo.
Nel caso di recesso di una sola delle parti, i convivente che intende svincolarsi dagli obblighi dell'accordo, potrà rivolgersi ad un notaio o ad un avvocato (non necessariamente il medesimo che aveva autenticato il contratto di convivenza) dichiarando di volersi liberare dai vincoli pattizi.
L'altro convivente non potrà far altro che prendere atto della volontà del recedente, con l'unica tutela di poter rimanere per un certo periodo di tempo a vivere nella casa familiare, se questa di proprietà del recedente: in questa specifica ipotesi, la legge 76/2016 stabilisce, infatti, che la dichiarazione di recesso unilaterale dovrà contenere il termine non inferiore a 90 giorni per il rilascio dell'abitazione da parte del convivente, a pena di nullità.
Cosa succede quando finisce la convivenza?
La legge 76/2016 non regola la cessazione della convivenza di fatto. Così come per la costituzione della convivenza non è prevista alcuna formalità, ugualmente, per la fine del rapporto, non è richiesto alcun particolare adempimento.
Va da sè che, dal momento che la legge stabilisce che il rapporto di convivenza si dimostri sulla base del certificato di stato di famiglia anagrafico, al termine del rapporto di convivenza è opportuno cambiare residenza anagrafica, con conseguente modifica dello stato di famiglia.
La legge 76/2016 non prevede l'obbligo di mantenimento per l'ex convivente, in origine inserito nel progetto di legge.
E' invece previsto il diritto agli alimenti in favore dell'ex convivente in condizione di indigenza: gli alimenti sono dovuti soltanto se il convivente versa in stato di bisogno e non dispone dei mezzi per sopravvivere, una situazione di difficoltà economica estrema, ben diversa dal mantenimento che é finalizzato a consentire la conservazione del tenore di vita goduto durante il rapporto di convivenza.
La normativa sulle prestazioni alimentari (artt. 433 e seguenti Codice Civile) stabilisce un preciso ordine tra le persone obbligate a corrispondere gli alimenti: l'ex convivente è stato inserito nell'elenco, dopo il coniuge, gli ascendenti ed i discendenti.
Nel caso in cui siano presenti figli, nulla cambia rispetto al passato: quando, al momento di cessazione della convivenza, vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti, la casa familiare verrà assegnata al genitore che vi rimarrà a convivere con i figli, ai sensi dell'art. 337 sexies del Codice civile, indipendentemente dal titolo di proprietà dell'immobile.
La tutela del convivente in ambito successorio
La legge 76/2016 non prevede diritti successori particolari per il convivente, ma solo un diritto di abitazione.
E' infatti stabilito che, in caso di morte del convivente che sia anche proprietario della residenza familiare, il partner potrà continuare ad abitare la casa per un determinato periodo di tempo, e più esattamente,
- per due anni, quando la convivenze sia durata meno di due anni;
- per un periodo corrispondente alla durata della convivenza fino ad un massimo di cinque anni, se la convivenza è durata più di due anni;
- per un periodo non inferiore a tre anni, indipendentemente dalla durata della convivenza, se con il convivente superstite coabitino figli minorenni o disabili nati dall'unione. Inspiegabilmente, la tutela di cui sopra non è prevista in caso di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Il diritto di abitazione viene in ogni caso meno quando il convivente cessi volontariamente di abitare nella casa comune e in caso di matrimonio, unione civile o nuova convivenza di fatto.
Oltre a ciò, nulla cambia nella successione del convivente, il quale, non essendo legato da vincoli di parentela o di coniugio, è considerato ai fini successori come un estraneo.
è comunque possibile tutelare economicamente la posizione del compagno o della compagna per il tempo successivo alla propria morte mediante il testamento. Naturalmente, le disposizioni testamentarie non dovranno ledere i diritti dell'eventuale coniuge o unito civilmente non divorziato e dei figli di colui che redige il testamento, ai quali per legge è riservata una quota dell'eredità (c.d. leggittima).
Avv. Barbara D'Angelo
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