“Mamma, guarda cosa so fare!”
All'inizio non ci ho fatto caso o forse ho dato troppa poca importanza al mio erede e ai suoi occhi castani mentre pronunciava queste poche parole.
Ah noi adulti! Non impareremo mai!
C'è il lavoro, c'è la spesa, poi devi preparare la cena, magari mentre correggi i compiti che l'ometto ha fatto in giornata e ti senti spremuta come un pompelmo nella centrifuga.
Però la noncuranza non ha ragione d'essere.
Alla terza volta in cui la mia attenzione viene richiamata con un “Guarda cosa so fare” mi volto, sposto tutta la mia concentrazione e mi rendo conto che lui si è messo con le mani per terra e si solleva quasi a testa in giù spingendo i piedi sul muro, come un ragno che vuole camminare sulla parete in retromarcia.
Mio figlio è un bambino sensibile e molto “cerebrale”: pensa, inventa storie, chiacchiera e si distrae; è un bambino curioso, affettuoso e creativo, è riflessivo e attento, a volte troppo. Non è spericolato, non si butta, non tenta granché. Almeno per il momento.
Ho capito tutto d'un tratto che per lui quell'arrampicata a metà sulla parete era il superamento di una prova, una barriera abbattuta per quanto minuscola. Era come dire: “Lo vedi? Lo faccio, ci provo, la gravità non mi fa paura”. Poco importava che fosse un “vorrei e quasi ce l'ho fatta”.
Ho sorriso e l'ho abbracciato dicendo: “Ma sei bravissimo!” E lui si è prodotto in uno dei suoi sorrisi pieni, un po' tronfi, gonfiando il petto come un galletto (quando ero piccola ne avevo uno Mugellese con un ego inversamente proporzionale alle sue dimensioni, ma non siamo a quel livello).
Io da piccola mi tuffavo dagli scogli con la ciambella, ovviamente trattenendola con le mani e mi sentivo esattamente come Tania Cagnotto: dove stava la differenza?
E' facile tenere a mente che i successi - piccoli e grandi - dei nostri figli vanno celebrati con loro, ma a volte siamo così presi dalla nostra realtà adulta che è come se avessimo una patina grigia sugli occhi. Perché un successo non è solo un buon voto o un esercizio fisico o mentale finalmente riuscito, è il superamento di tutti quegli ostacoli che li fanno sentire più grandi e più pronti. Perché anche le scale dei valori, nostre e loro, scorrono l'una accanto all'altra e a volte non si toccano: sta a noi cercare di vederle, buttando l'occhio ogni tanto anche ai bambini che siamo stati.
di Monia Scarpelli,
autrice di “Mani di vaniglia: nascita di una mamma in 40 settimane”
www.moniascarpelli.it
immagine: Bart Hickman su sxc.hu