Naturalmente il figlio si farà carico delle tensioni e delle incapacità dei propri genitori di stabilire una comunicazione affettiva “a due”.
Alcuni genitori agiscono questi comportamenti da sempre, usando il figlio per lamentarsi dell’altro genitore al fine di sentirsi capiti e consolati. Ci sono figli, quelli più compiacenti, che soccombono e si lasciano mettere in mezzo, e ce ne sono altri, quelli più astuti, che si rintaneranno in qualunque posto della casa pur di sottrarsi a queste beghe familiari.
I genitori dovrebbero trovare il modo di parlare direttamente con l’interessato, senza coinvolgere i figli in dinamiche di protesta verso il partner.
I figli possono essere trattati come “estensioni di sé” che all’occorrenza vengono più o meno presi a testimonianza del proprio funzionamento: accade quindi che in discussioni di accusa tra adulti si usi dire “tuo figlio”, anziché “nostro figlio”.
I figli si accorgeranno che senza di loro i propri genitori non sanno stare, perché si sentono soli e non sanno far altro che essere genitori. Questo li condizionerà nella loro autonomia, sentendosi pressati ad avere un ruolo di figlio più bisognoso rispetto alla reale necessità. Ogni protesta del figlio sarà vana, perché occorrerà in prima battuta che i genitori ritrovino la propria intimità e il senso della propria unione indipendentemente dalla “presenza” del figlio.
Per riscoprire l’affetto e il legame occorrerà ricreare delle condizioni di uscita, di svago e perché no, anche di corteggiamento.
Dott.ssa Luisa Marchionni
Psicologa, Specialista in Psicodiagnostica, Docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Le aree di intervento sono rivolte prevalentemente all’infanzia e all’adolescenza, con riguardo al contesto familiare e alla riabilitazione psichiatrica.
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Commenti
Un argomento interessante ma molto difficile.