Lo so, sembra incredibile eppure succede ancora.
Trovi una persona che ti piace e con cui stai bene, la relazione diventa stabile (giusto un minimo) e tutti ti chiedono “quando vi sposate?”.
Decidi di fare il grande passo, passa meno di una manciata di giorni: sei felice, stressata, assorta, speranzosa per il futuro insieme ed eccola là la domanda seguente: “ma un figlio quando lo fate?”
L’erede nasce, ti riempie la vita, te la scombina, ti fa entrare in una fase di metamorfosi così profonda da toccare vette di felicità e sconforto - il passaggio dallo stato “donna autonoma” a “moglie” non potrà mai reggere il confronto con il Big Bang da cui esci “mamma” – da cambiare pelle, ma soprattutto contenuti, perché ho sempre sostenuto che mio figlio mi ha cambiato prima di tutto da là, dove si trovava, ossia da dentro. Hai superato da poco sensi di colpa e gioie del nido, l’acquisto del triciclo, le testate contro i mobili dei primi passi e bum! Ecco di nuovo l’ennesima domanda: “ma il secondo quando lo fate?”
Mio figlio va per gli otto anni anche se non mi sembra possibile che si possano concentrare in quello che mi è sembrato un densissimo soffio di vento, ma ancora non ha un fratellino O una sorellina.
Quell’ancora tiene sospeso il fiato di tutti e crea qualche ansia, anche se non a noi.
Mentre lui ci stupiva con i sorrisi, le prime parole, poi con le paure, i gradini da salire, la socialità che si sviluppava piano piano noi abbiamo vissuto un periodo intenso e complicato, come tante altre famiglie e coppie nel frattempo.
Devo ammetterlo, siamo stati particolarmente bravi a tenere in piede le speranze, ad affrontare i problemi sempre più dilaganti di quanto non sembrassero all’inizio, a piangere, abbracciarci e sentirci sconfitti per poi trovare invece un modo per superare la bufera, per ridarci un futuro o un’idea di futuro, tutto nel riserbo di casa nostra. Probabilmente tanti lo fanno e tanti fanno figli, ma ognuno lo fa a modo suo.
Non ho mai pensato di fare un figlio per una mia esigenza, non voglio fare “un figlio per me”: il mio ometto è stato un bisogno viscerale, uno stadio di evoluzione e il frutto di un amore consapevole.
A nessun altro figlio permetterei di avere una mamma un briciolo al di sotto di quella che ho provato ad essere per lui, anche se mi capita di sentirmi la madre peggiore del mondo quando la vita quotidiana sembra sopraffarmi.
Non voglio nemmeno fare un altro figlio perché quello che ho già non si senta solo in futuro “quando noi non ci saremo più”, come ci dicono spesso: per quanto possibile, voglio che sia lui a trovare un posto nel mondo, quello che ritiene più confortevole, al di là che ci sia un legame di sangue che lo tiene a galla o meno. Non posso decidere come sarà la sua vita e nemmeno la mia e per quante congetture si possano fare non si può decidere l’esito di alcun rapporto, ci si può solo investire quello che sentiamo.
A chiunque abbia fatto quelle domande vorrei dire che qualunque sia il futuro della nostra famiglia – spingersi verso un allargamento dei confini oppure consolidare il nocciolo su cui stiamo già lavorando – e qualunque siano le divergenze con il mio modo di pensare, non sentirò nessuna incompletezza né mancanza: coltiverò nostalgie e rimpianti, sogni e paure, dubbi ed entusiasmo, sempre una personalità come donna, mamma e compagna del tutto indipendente dal numero di figli che avrò.
Mia nonna valutava le sue galline come buone o meno buone dal numero di uova che facevano ogni giorno, ma ha sempre valutato le persone da quello che erano. Ed è da lei che ho imparato grandi cose.
di Monia Scarpelli,
autrice di “Mani di vaniglia: nascita di una mamma in 40 settimane”
www.moniascarpelli.it
immagine: Jaky77 su Pixabay
Commenti
E' incredibile come le persone si sentano in diritto di entrare a gamba tesa in qualcosa di così intimo e personale.
Riguardo te, Monia, non credo tu abbia minimamente motivo per sentirti "la madre peggiore del mondo", l'erede è in una botte di ferro ;)