Ecco, io sono una campionessa, una record-woman: ne ho avute ben due di amiche che hanno lottato contro quello che sembrava l'incubo del non poter diventare madri; solo che la prima volta la mia maternità era lontana, mentre la seconda era contemporanea, ossia nel momento in cui io iniziavo a dare di stomaco e lei assaporava la sconfitta per quella che sembrava la milionesima volta.
Ma proprio in quel momento, durante quella vigilia di Natale in cui la guardavo con occhi colpevoli anche senza aver commesso reato, se non quello di aver ricevuto un dono che lei aspettava e sudava per avere, sono successi due miracoli.
Il primo è stato lei, simbolo del modo in cui le donne sono amiche se lo sono DAVVERO: mi ha abbracciato, abbiamo pianto insieme, non mi ha abbandonata nemmeno un istante, mettendo da parte il suo dolore per la mia felicità.
Il secondo è stato che, entro quello stesso anno, la sua gioia si è compiuta, piena e doppia grazie a due paia di occhi scuri che mi guardano, mentre due vocine mi chiamano zia anche se io e la loro madre non siamo sorelle. O forse sì?conoscenza superficiale, brandelli di complicità o solidarietà quando va bene, ma l'amicizia, quella vera, è anche giusto che sia un po' come il Santo Graal. Se la trovassimo fitta come i non-ti-scordar-di-me nel giardino di mio padre, non sarebbe così speciale, un dono (anche se per me, i fiorellini del suo prato lo sono eccome!).
Io – e lo dico sottovoce – ho delle amiche, di quelle a cui ho dato i gradi, le stellette e che, al di là di quello che la quotidianità ci propina sono sempre là, come immagini sacre del nostro legame.
di Monia Scarpelli, autrice di “Mani di vaniglia: nascita di una mamma in 40 settimane”