Un giorno eravamo in piscina e vedemmo un bimbo che nel correre sul bordo della vasca degradante, scivolò finendo piangente con sedere a terra e gambe in aria.
La mamma arrivò e lo tirò sù con un colpo forte e netto, afferrandolo per un braccio. A voce ben alta gli disse cosa pensava di lui, quanto si comportasse male e altre svariate affermazioni su cosa dovesse o non dovesse fare…mai più… e cosa gli sarebbe successo se non avesse ubbidito.
Mio figlio Cosmo, disabile dai due mesi di vita, a seguito di un‘emorragia al cervello, durante la quale ne ha perso ben 1/4, mi disse : “ Mamma, ma perché alcune mamme quando i bimbi si fanno male, gli urlano e li sgridano? Sai… Prima avevano male fuori…Adesso hanno male anche dentro!”
Io gli risposi che non lo sapevo, ma immaginavo che fossero preoccupate per i loro bimbi e che probabilmente quello fosse l'unico modo che riuscissero a pensare per proteggerli e supportarli nell’imparare a riconoscere e prevenire i pericoli. Ci guardammo un po’ tristi a questo pensiero e sollevati dal non riconoscerci in esso.
I bambini sono “piccole persone”
In primis a me piace ricordarmi che quando mi relaziono ad un bambino, mi sto relazionando con una persona e non desidero riservargli alcun trattamento che non includa lo stesso rispetto che manifesterei con un mio coetaneo, se mai un po’ di cura e disponibilità in più, per la loro minore esperienza su questa Terra.
Questo mi sembra già un presupposto interessante. Non vi sembra?
Marshall Rosenberg, usava proporre un esercizio a due gruppi distinti di partecipanti ai corsi, a questi chiedeva di affrontare una questione sgradevole con una data persona. La questione era la medesima, solo che ad un gruppo veniva chiesto di affrontarla con il vicino di casa e all’altro con un bambino. Molto spesso le parole rivolte al bimbo risultavano molto meno rispettose e delicate di quelle rivolte al vicino di casa..Interessante, No?!
Quindi, partire dalla chiarezza che i bimbi sono prima di tutto persone, potrebbe già supportarci a desistere da urlare e sgridare, se poi ci rendiamo conto che dentro può crearsi paura, dolore, vergogna e molto altro ancora, potremmo scegliere di allontanarci ancora di più da questa modalità.
Proviamo anche a pensare se ci piace essere sgridati e cosa può generare in noi immaginarci in una simile situazione.
Le conseguenze a lungo termine di urla e sgridate
Urlare e sgridare i nostri figli potrebbe allontanarci, separarci e far nascere sfiducia e risentimento. Non credo che questo sia un buon terreno per ricevere ascolto e collaborazione dai nostri figli.
Trovo possa essere molto più efficace e gratificante, ascoltarli per capire cosa è importante per loro, facendogli intendere, che ci interessa ed ha valore per noi.
Allo stesso tempo raccontargli cosa è importante per noi e verificare se lo intendono.
I bisogni di autonomia, indipendenza e sperimentazione, sono talmente forti nell’essere umano, che a lungo andare il potere della paura, della vergogna e della punizione potrebbero non reggere più e se non abbiamo instaurato un rapporto di fiducia e rispetto reciproco con i nostri figli, potremmo trovarci senza mezzi per interagire con loro efficacemente.
Ma se non vogliamo urlare cosa possiamo fare?
Proviamo a immaginare la stessa situazione nella stessa piscina, come avremmo potuto reagire vedendo cadere nostro figlio?
Per es. avremmo potuto dire:
- “Ti fa tanto male? è stata proprio una bella botta!“
(ci interessiamo a lui, gli diamo attenzione e presenza e gli riconosciamo quello che sta vivendo, lo vediamo) - “Vuoi un aiuto ad alzarti o preferisci aspettare che si sia calmato il dolore?”
(possiamo offrire il nostro supporto, senza imporre la nostra modalità, chiedendo a lui cosa preferisce, dandogli valore, fiducia e considerazione) - “Stavi correndo e sei scivolato?… Ah caspita! Quindi hai sperimentato che è proprio scivoloso qui e che si può fare un bel volo!” Bisogna proprio che ce ne ricordiamo! Voglio proprio ricordarmelo anch'io per evitare di farmi male.”
(ancora ci portiamo con interesse all’accaduto e sottolineiamo cosa può aver scoperto, riconosciamo l’utilità di questa scoperta e che può essere preziosa anche per noi: siamo insieme in questo viaggio dell’apprendimento)
Qui, al posto del “POTERE SU” l’altro, siamo nel “POTERE CON” l’altro.
Imparare dall’esperienza
Invece di imporre, giudicare, criticare, urlare, sgridare, minacciare, punire ecc, stiamo affianco all’altro per sostenerlo e al contempo gli permettiamo di vivere e osservare una modalità, che potrà scegliere di far sua.
Gli esseri viventi imparano prima di tutto per emulazione, quando ricevono rispetto, cura, fiducia, interessamento e supporto, tendono a fare loro questi valori e a riproporli a chi glieli offre e al mondo intero.
Voglio concludere con una citazione di Marshall Rosenberg (ideatore della comunicazione nonviolenta):
“I miei bambini, fin da piccoli, mi hanno dato una lezione importante sul fatto che non potevo far fare loro nulla.
Tutto quello che potevo fare era di far loro rimpiangere di non avermi obbedito.
Tutte le volte che sono stato così stupido da scegliere questa strada, mi hanno poi dato una seconda lezione, che, nel corso degli anni mi è stata molto utile, sul mestiere di genitore e sul mio rapporto con il potere.
La lezione è stata la seguente -ogni volta in cui ho fatto sì che i miei figli desiderassero di avermi obbedito, loro mi hanno fatto desiderare di non averlo fatto. La violenza genera violenza.
di Luana De Falco
Immagine di copertina: Monther yelling... on Shutterstock.com
Commenti