Il cesareo è una modalità di nascita che in alcuni casi è uno sparti acque tra la vita e la morte, in altri è un abuso, in altri è una scelta precisa della donna. Il vissuto del cesareo è dunque molto diverso in donne diverse, in circostanze diverse, in condizioni di assistenza diverse.
Nel cesareo il taglio si può vedere e toccare, nel vaginale…
Il taglio cesareo lascia una traccia visibile, è una modalità di nascita che ha un nome preciso che la distingue: Parto Cesareo, in genere contrapposto a Parto Naturale… ma una delle verità è che quello che viene chiamato parto “naturale”, purtroppo in un numero vastissimo di casi, di naturale ha davvero poco: solo il passaggio attraverso il canale vaginale, ma tutto il resto…
il parto naturale, che io preferisco chiamare “vaginale”, può lasciare una donna estasiata, indifferente, o spaventosamente traumatizzata, sia dal punto di vista emotivo che fisico.
Il cesareo ha insito, nell’etimologia stessa, “il taglio”, e questo genera spesso l’equivoco di poter essere contrapposto, anziché affiancato ad un parto vaginale. La verità è che il parto vaginale non ti mette certo al riparo da quei traumi emotivi, fisici e relazionali, che l’autore descriveva nell’articolo. Solo che in questo caso manca “il taglio”, l'elemento tangibile. Così la mamma che arriva in ospedale in travaglio, che viene accolta con indifferenza, che si ritrova in un ambiente sgradevole, che sente freddo, che magari è sdraiata e bloccata su un lettino, con qualcuno che le intima di “non fare tante scene”, in balia di aghi, cannule che non sa che cosa siano e che la sconquassano, con dita che la frugano, gente che parla di lei come se lei non fosse lì; quando la creatura viene al mondo, spesso è troppo dolorante, ferita, addolorata, sconcertata per volerla addosso, vicina, per portarla al seno, per avviare il famoso “bonding”, il legame immediato.
In questi casi la ferita emozionale e relazionale può esser ben più grande di quella di una mamma che ha subito un cesareo, fatto con cura, in un ambiente reso quanto più confortevole, con personale che la aiutava a celebrare questo momento di passaggio importante….
Avviene dunque tante volte che una mamma con un cesareo alle spalle non abbia sentito il “trauma” di una nascita che le ha lasciato un segno fisico sulla pelle, e un’altra, priva di cicatrici visibili, si senta ferita nel profondo, ferita nella sessualità, ferita nell’incipit di quel rapporto d’amore che si instaura con i figlio.
Allora mi chiedo, l’osteopata ha trovato un modo per far superare gli effetti emozionali dietro ad una cicatrice, chissà se c’è un modo per far superare gli effetti emozionali dietro ad un parto “pseudo naturale”, ad una parto vaginale in cui la violazione non lascia tracie inequivocabilmente opponibili…
Mamme di serie A e mamme di serie B
Questo è un tema che spesso emerge quando si parla di cesarei. A me sembra impossibile che questo equivoco si ingeneri. I singoli aspetti della nostra vita di madri e di genitori (il parto, l’allattamento, il modo in cui svezziamo, parliamo, giochiamo, interagiamo con i nostri bambini) non sono elementi che singolarmente possono determinare la complessa relazione che ci lega ai nostri figli.
Tanto per dire: i neonati che nelle cronache finiscono gettati nell’immondizia, non nascono certo da parto cesareo, questo non fa delle mamme che partoriscono per via vaginale dei mostri, e sottolinea che non è un taglio cesareo che può rendere mostruoso il bonding... Una mamma che adotta un bambino, di cui non solo non ha condiviso la nascita, ma spesso neanche i primi anni di vita, non viene certo considerata una mamma che non ama visceralmente suo figlio. Ogni madre ama profondamente i propri figli e fa del suo meglio ogni istante per stare loro affianco.
Ci sono mamme che io ammiro, per la relazione che hanno costruito, per le modalità che adottano con i loro figli, che trovo per molti versi dei modelli. Alcune di loro hanno dato alla luce con un cesareo, altre con parti spontanei bellissimi o brutti, quello che mi pare faccia la differenza è il loro personale percorso di vita, di crescita emotiva, di capacità di mettersi in discussione…
Tuttavia questo delle mamme di seria A e di serie B è un tema che sento sempre emergere da donne che hanno sperimentato il cesareo. E questo mi fa riflettere: se da un lato penso insulsa la possibilità di fare una classifica di bravura legata al parto, dall’altro se c’e’ un bisogno di affermare che non si è meno brave se il parto è stato cesareo, o in analgesia, o in un luogo piuttosto che in un altro, vuol dire che c’è un modo comune di esprimersi e di parlare che evidentemente suscita il bisogno di dover difendere cio’ che ci è successo: volevo partorire in casa, ma sono finita in ospedale perché…, ho dovuto fare un cesareo perché…, ho chiesto l’analgesia perché….
Forse davvero siamo in un mondo che anziché accogliere ciò che ci accade come un passaggio giusto, a volte anche doloroso, della nostra vita, deve esprimere un giudizio di valore… forse è ciò che ciascuno di noi, a partire da me, consapevolmente o inconsapevolmente fa senza rendersi conto che non ha senso, è solo un modo per tirar fuori le nostre difficoltà e le nostre debolezze rispetto alla vita, non quelle della mamma che ha subito o scelto un cesareo, un’epidurale, un parto diverso sfumato.
Eppure io mi sento mamma di serie B quando urlo e sbraito con i miei figli e di serie A quando li vedo felici e sorridenti e contenti del tempo che dedico loro. E credo che questo sia comune a tutte: le mamme passano dalla champions league, alla serie C2 più volte in una giornata, e non certo in relazione al loro parto. Diciamocelo con franchezza e sentendoci tutte accomunate.
Bonding
E infine: nell’articolo da cui siamo partiti si dice: “La relazione madre-figlio è per forza intaccata dal taglio cesareo.” La frase era funzionale all'argomento dell'articolo, ma io voglio permettermi di affermare che, più in generale, la versione corretta di questa frase è “La relazione madre-figlio è per forza intaccata dal parto (cesareo o vaginale che sia)”.
Il miei figli sono nati da parti vaginali. Il primo parto, in ospedale, mi lasciò scioccata tanto che io non volli tenere mia figlia vicino nei momenti successivi, perché avevo bisogno di riprendermi dal trauma di quell’esperienza. Mi ricordo che 15 giorni dopo a casa la guardavo e pensavo: ma se io ti avessi amato così in quei giorni in ospedale, avrei pensato che sarei impazzita d’amore… Quindi il nostro bonding ha avuto bisogno di tempi più lunghi di ciò che dovrebbe: il primo sguardo.
E’ chiaro che a livello razionale io so di avere con lei, che ha 8 anni, un rapporto solido e meraviglioso quanto lo è ogni rapporto madre figlia a questa età, ma mi chiedo se quei momenti che io ho vissuto come difficili e spiacevoli e in cui non sono stata lì per lei, non abbiano lasciato un segno dentro di noi.
Inoltre sento il dispiacere del fatto di non esserci stata, di non averla tenuta stretta a me per tutta la prima notte della sua vita in questa dimensione, pelle a pelle. E in me c’è l’intuizione forte che questa è una ferita che è in noi due, in una dimensione emotiva che va scovata nel profondo. Che non mi rende madre di serie B, che non inficia il mio amore per lei o la mia relazione con lei su un piano quotidiano e "superficiale", ma che invece io vorrei esplorare su un piano profondo e inconscio… e ci sto provando…
di Barbara Siliquini
immagine da: primainfanzia