Immaginatevi di vivere in un posto sicuro, dove sono soddisfatte tutte le vostre necessità, ma dove non siete a contatto con la società degli umani, e un bel giorno abbiamo un bambino, senza sapere niente su come ci si prende cura di un neonato, senza aver mai visto un neonato prima, una persona che partorisce, allatta, se ne prende cura. Saremmo in grado di occuparcene? Possiamo sperare di contare sul nostro istinto, ma se l’instinto venisse dal vedere altre madri crescere i loro figli?
Nel 1981 fu pubblicata negli Stati Uniti la storia di una gorilla di nome "Gigi", una storia che fa riflettere. La raccontò, attraverso gli occhi e le emozioni di un professore di psicologia animale, Deborah Schildkraut, il professore che se ne prese cura.
Gigi è una femmina di gorilla di 8 anni. Come molti gorilla, è cresciuta in cattività tutta la vita. Quando rimase incinta, tutto era stato preparato nello Zoo del Massachusetts dove viveva perché potesse dare alla luce il suo bebè. Il problema fu che, non avendo mai visto altri gorilla allevare cuccioli, Gigi non aveva idea di come fare ad essere madre, o come reagire alla nascita.
In un certo senso, la stessa cosa sta succedendo a noi.
La storia di Gigi è molto triste. Ma è importante e non serve solo per riflettere sui giardini zoologici, ma serve per aiutarci a capire quanto è cruciale essere esposti, vedere, rendere normali certi comportamenti considerati istintivi: ad esempio una nascita indisturbata e naturale o un bimbo allattato.
Rendere certe immagini parte della normalità è fondamentale per la nostra società, per la nostra evoluzione e per il ritorno alla salute e alla norma biologica della nostra specie.
Deborah, la ricercatrice, trascorse moltissimo tempo con Gigi, durante la sua gestazione, con l’obiettivo di addestrarla a prendersi cura di un cucciolo, ad essere delicata, a nutrirlo.
Le aveva procurato anche delle registrazioni di suoni del pianto dei piccoli gorilla perché le risultasse familiare e infine le aveva mostrato un piccolo gorilla di peluche al quale Gigi non aveva prestato alcuna attenzione. Deborah si commosse quando vide che Gigi mostrava interesse per un piccolo bimbo neonato di 3 settimane, pensando che forse c’era una speranza. La madre di Gigi, anche lei nata in cattività, era stata del tutto priva di capacità di maternage, come del resto succede a molti animali in cattività; questa mancanza si trasforma a volte in abbandono, in aggressività o avversione e spesso porta alla morte dei cuccioli.
Quando arrivò per Gigi il tempo di partorire, lei appariva priva di qualsiasi capacità di comprendere quello che stava succedendo al suo corpo e poi di capire cos’era quella cosa che era uscita da lei. Gigi prima afferrò il cucciolo neonato non capendo bene di cosa si trattasse, poi lo buttò a terra e cominciò a scappare in giro per la gabbia; era come un animale in fuga dalla sua ombra, con il neonato cucciolo ancora attaccato a lei tramite il cordone, che sbatteva in giro. Poi il cordone ombelicale si incastrò ad un sostegno di metallo, e a causa della trazione la placenta di Gigi venne fuori da lei, finalmente libera.
Il neonato di gorilla giaceva in un angolo, ancora attaccato al cordone e alla placenta emettendo un suono identico al pianto di un bambino neonato.
Mentre Gigi mostrava totale indifferenza al pianto del neonato, da una gabbia affianco, una vecchia gorilla femmina Betty, che era nata e aveva vissuto libera prima di arrivare allo zoo, che aveva un cucciolo ed era una madre straordinaria, come guidata da tutti gli istinti che aveva imparato durante la parte selvaggia della sua vita, non trovava pace nella sua gabbia ed era completamente affranta al suono delle grida senza risposta del piccolo neonato.
Una storia triste che, al di là delle considerazione sugli zoo, porta un messaggio molto importante per noi. Si parla molto dei nostri istinti naturali, ma come dimostra la storia di Gigi (purtroppo una storia non isolata tra alcune specie di mammiferi in cattività), c'è un'altra dimensione che esercita una grande influenza sulle cose “normali” della nostra vita, si chiama: "comportamento culturale". Questo era ciò che mancava Gigi: Gigi non sapeva come si comportano i gorilla, non sapeva cosa fosse una nascita, non aveva idea di cosa fosse un neonato, né di quello che doveva fare. Tutta la vicenda l’aveva solo spaventata. In altri zoo, con gorilla che non avevano preso la nascita dei piccoli così male come Gigi, è stato comunque indispensabile mostrare loro video di altri gorilla che allattano per sapere come comportarsi con i loro cuccioli.
Insomma, tra i gorilla, come tra gli esseri umani, la maternità non è un’abilità istintiva. C’è un ruolo fondamentale svolto dall’esposizione ai comportamenti del gruppo sociale di appartenenza. In natura, i gorilla vivono in gruppi di un massimo di 30 membri, e le femmine apprendono la maternità guardando altre femmine allevare i loro piccoli.
Ora, ovviamente, noi come esseri umani, siamo più evoluti e abbiamo più conoscenze. Sappiamo cosa sono le contrazioni, che l'allattamento significa che il neonato si attacca al nostro seno con la bocca. Però, alla luce di queste osservazioni, si capisce che, rispetto alla maternità, non è facile adottare un comportamento se non si è mai visto o se le immagini che si sono stratificate nella nostra esperienza sono lontane da come quel comportamento dovrebbe essere “naturalmente”.
Dunque, che aspettativa possiamo avere su un parto se le uniche immagini di parto vengono dalle scene di emergenza, dolore e truculenza della tv, come può essere naturale allattare se non abbiamo visto allattare al seno, se non per qualche immagine veloce che mostra la testa di un bambino di fronte a un seno.
Molte donne provano ad allattare ma incontrano mille difficoltà, magari tengono il bambino come vedono fare nelle pubblicità e l’allattamento non riesce, ma non hanno idea di quali alternative possono provare, non sanno trovare alternative per trovare soluzione ai loro problemi.
Alla fine abbiamo codificato e alterato così tanto l’immagine comune di certi comportamenti naturali, e vi siamo così esposti, che abbiamo una visione distorta di come un bambino debba nascere, essere accudito o nutrito.
Certo, non finiremo come gli scimpanzé in cattività che perdono anche gli istinti per la procreazione, ma abbiamo sicuramente reso la nostra vita e la maternità molto più difficili rendendo desueti e rari da vedere scene naturali della maternità vuoi per puritanesimo, privacy e senso della decenza, come nel caso dell’allattamento, o rappresentazioni scenografiche e televisive come nel parto, o ossessioni di indipendenza e autonomia che allontanano il bambino sostituendo la mamma con ciucci, giochini, stanzette colorate, etc..
Liberamente tradotto e commentato da Barbara Siliquini
da un articolo di Christy Haskell dal titolo: Seeing Moms Breastfeeding in Public is Vital for our Future