07 Ottobre 2011

Il racconto di un allattamento duro e quasi perduto...

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Capita che alcune donne che vivono problemi di allattamento si sentano ingannate dalle stesse campagne informative che lo sostengono e promuovono. E' una rabbia comprensibile, visto che la realtà del supporto alle madri non sempre è lineare ed efficace come dovrebbe. Caterina per la Settimana Mondiale dell'Allattamento Materno ci racconta la sua esperienza di avvio di allattamento, molto difficile.  

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Mi è capitato di parlare con amiche che si sentivano ferite dall'accento messo sull'importanza di allattare al seno, per mamma e bambino, nel momento in cui loro non ci stavano riuscendo.

Io credo si verifichino veri e propri paradossi, in particolare in molti ambiti ospedalieri. Da una parte l'allattamento viene incensato, incoraggiato, caldeggiato, dall'altra vengono proposti modelli assistenziali e consigli che lo rendono difficile se non impossibile. Lo so anche per esperienza diretta.

Quante madri escono distrutte nell'animo, con in mano ricette (illegali) di latte artificiale, da reparti di maternità che espongono cartelli giganti con scritto "L'allattamento al seno è il meglio per te e il tuo bambino" o frasi simili?
Molte.
Tutte madri che davvero non possono allattare?
Non credete che ci saremmo estinti molto tempo fa?
Forse sono madri che nei brevi giorni di degenza, nello stesso momento in cui si sentono dire che allattare è il meglio, si sentono dare consigli fuorvianti (il campionario è vasto, da "Non attaccarlo troppo o ti vengono le ragadi" a "Dopo dieci minuti staccalo", o "Non è passato ancora abbastanza tempo, aspetta un po" … riferito a bambini di poche ore …), e/o si sentono rivolgere ogni sorta di gentilezza volta a deprimere al contempo autostima ed istinto ("Il tuo seno non è adatto ad allattare", "Non vedi che lo stai facendo morire di fame?", "Non sei capace di tenerlo bene, eppure te l'ho spiegato", "Non avrai mai latte a sufficienza" e così via … riferito a donne diventate madri da poche ore …).
Ebbene come non capire la rabbia? Queste mamme tornano a casa con un senso di fallimento aggravato proprio dall'idea di non aver potuto dare il meglio al proprio bambino, di essere sbagliate.
Quello che non sanno è che, come dice Ibu Robin Lim, una donna che non riesce ad allattare è una donna che è stata lasciata sola, e che quindi di questo senso di fallimento non dovrebbero farsi carico loro, ma la società, che ancora tanto manca in uno dei compiti che dovrebbe essere tra i suoi più importanti, quello di sorreggere al meglio il cuore del suo futuro: una madre con la sua nuova vita, con o senza allattamento.
Purtroppo realtà ben più positive ed adeguate come quella della Leche League spesso non sono sufficientemente conosciute, o vengono ritenute meno autorevoli di quelle istituzionali. Inoltre ho scoperto che a volte generano reazioni di rifiuto nel momento in cui le madri iniziano ad incontrare difficoltà.
Mi è capitato infatti di sentire dire che queste associazioni fanno ancora più rabbiaperché sembrano mostrare l'allattamento come una cosa facilissima e alla portata di tutte, il che per chi invece sente di non potercela fare e sta rinunciando suona quasi come una beffa!
Ma che confusione!
È vero che allattare non è sempre facile, lineare e senza ostacoli. Di certo non è quel che dicono le consulenti de la LLL, che di questi problemi si occupano ogni giorno. Quello che loro sostengono è che è alla portata quasi di tutte, questo sì.
Solo che gli intoppi, le crisi, i momenti bui hanno bisogno di vera assistenza per poter essere superati, e questa purtroppo non sempre è offerta in modo adeguato da operatori sanitari tradizionali, che spesso invece i problemi li provocano.

È pensando a questo che voglio raccontare la storia del mio primo allattamento. Come spesso accade negli ospedali, il mio bambino, sanissimo e perfetto, nato da parto naturale, mi è stato tolto dopo pochi minuti per essere lavato e perché io fossi medicata. Niente di male, mi sembrò allora, visto che non conoscevo ancora bene l'importanza del contatto nella prima mezz'ora di vita.
Però quando dopo un po' mi fu restituito mi trovai sola, con una creatura che non sapevo come attaccare al seno e che non aveva nessuna intenzione di farlo da sé.
Ci sono bimbi che anche dopo giorni di separazione trovano il capezzolo facilmente e vi si attaccano come se l'avessero fatto da sempre. Il mio no.
Il mio non aveva potuto approfittare del momento più sensibile ed era perso. Eravamo persi.
Col tempo ho imparato che questa è una sua nota caratteriale, che lui è fatto proprio così e che naturalmente quella nostra difficoltà era soprattutto una difficoltà relazionale. Ho anche scoperto che quell'inizio difficile mi è servito e mi ha insegnato tanto. Ma in quel momento era soprattutto un gran problema.
Nella giornata successiva le puericultrici hanno cercato di "aiutarmi", con pompette dolorosissime per estrarre un capezzolo che sembrava troppo corto, con manovre per attaccarlo, con rimproveri vari per come lo attaccavo male.
Nessuno mi ha detto che la cosa migliore sarebbe stata fermarmi e comunicare con mio figlio, rilassarmi e fidarmi di lui. Nessuno mi ha detto che il dolore delle contrazioni uterine era normale quando lui riusciva ad afferrare il seno. Nessuno mi ha detto che ce l'avrei fatta.
Per me fu tutto ansia e paura in quei giorni. Paura di quel seno gonfissimo e della febbre, che non sapevo essere la montata lattea, che impedirono definitivamente a me ed al piccolo di tentare l'attacco, paura di quella testina girata lontano da me, in un segno che a me sembrava di rifiuto, paura delle notti con lui urlante, ed io in un reparto che voleva dormire, senza il più efficace mezzo per consolarlo.
Sono stata dimessa con delle ragadi pazzesche, prescrizione di latte artificiale, e un incoraggiamento: "Signora con i suoi capezzoli lei non può allattare, la smetta di provare perché c'è già troppo calo fisiologico e comunque non lo tenga troppo al seno perché le fa venire le ragadi".

Mai io non ho smesso di provare e davanti a me c'era ancora un mese difficile. Fatto di paracapezzoli, sangue, dolore, tentativi, lacrime, e finchè non ho trovato qualcuno che mi aiutasse e credesse in noi, anche di tanta solitudine. E ancora paura.
Un periodo davvero denso di sconforto, che faccio fatica a riuscire a spiegare a parole.

Ad un certo punto ho sentito davvero di non farcela più. Ricordo perfettamente la sera del mio compleanno, il mio bimbo aveva dodici giorni e piangeva di continuo. Mi tiravo il latte e lo nutrivo con una siringa, per non abituarlo alla suzione del biberon. Facevo impacchi, medicazioni e chi più ne ha più ne metta.
Ed io che sognavo un puerperio sereno, passeggiate con tetta libera, una vita piena.
No, la mia vita era piena solo del problema allattamento, non mi lasciava spazio per altro.
Quando tornava il mio compagno dal lavoro facevamo insieme un tentativo di attaccarlo. Era lui a dovermi avvicinare il bimbo al petto, io avevo così paura del male e del suo rifiuto che da sola non riuscivo più.
Dopodichè, visto che falliva sempre, passavo ad una poppata col paracapezzolo. Poi di nuovo siringa, per via del male.
Ebbene quella sera, ricevetti la telefonata di auguri di una cara amica. Nella sua preoccupazione per me sentii come in uno specchio la mia angoscia.
Mi chiesi cosa stavo facendo, perché stavo vivendo così male un periodo tanto bello.
Sentii il bambino staccarsi e piangere, guardai in giù e capii: il paracapezzolo era pieno di sangue e non di latte. Mi misi a piangere, alzai la testa e vidi il mio compagno che ci guardava e piangeva pure lui, credo per l'unica volta nella nostra vita insieme. Decisi che era troppo, che il giorno dopo sarei passata alla formula.
Invece resistemmo ancora per un po', finchè un giorno con tanta pazienza ed accettazione reciproca, io e mio figlio riuscimmo a superare la barriera che ci divideva ed a cominciare per davvero il nostro allattamento, che superato un periodo di adattamento è andato poi a gonfie vele.
La gioia di questa relazione speciale nei due anni successivi ci ha ripagato di tutto.
Io so il sentimento di inadeguatezza, so il dispiacere nel pensare di non farcela, so l'angoscia di non capire perché.
Però sono grata a chi sostiene l'allattamento al seno, sono felice di aver trovato fuori dall'ospedale pareri e incoraggiamenti ben diversi.
Se non avessi incontrato ciò, certo che non avrei mai avuto la forza di andare per un mese avanti così, mai e poi mai. Avrei ceduto dopo poco e mi sarei fermata al mio dolore. Ma ho avuto la fortuna di scoprire che i problemi di allattamento si possono superare, ed è una cosa importante da sapere prima di decidere di mollare.

Caterina Lazzari
mamma di due, architetto, redattore, appassionata di genitorialità naturale, ambiente e dintorni

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Commenti  

daniela
# daniela 2014-04-17 05:00
posso chiedere come hai risolto la mancanza d'istinto del piccolo a cercare il seno?
causa frenulo corto mio figlio ha "dimenticato" come cercare e attaccarsi da solo al seno e non so più dove sbattere la testa.
Gli altri problemi li abbiamo bene o male risolti, ma questo proprio non so come fare.
grazie
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Caterina
# Caterina 2014-04-17 14:50
Ciao Daniela
a dire il vero non so offrirti una buona soluzione, non so nemmeno io come si sia risolto il problema ... direi più che altro insistendo.
Stando molto a contatto, pelle a pelle, con una fascia, e provando e riprovando spesso ad avvicinare il seno scoperto al visino del bimbo.
Evitando poi tutte le tettarelle (biberon e ciucci) ed usando il paracapezzoli inizialmente (ma io consiglio di farlo solo sotto supervisione di una consulente perché possono al contrario essere controproducent i) e siringa per i casi in cui proprio non riuscivo a nutrire al seno.
Ci vuole molta pazienza, però è vero che è un istinto così forte quello di succhiare, che si può recuperare.
Inoltre, visto che conta anche molto la relazione mamma-piccolo, sarebbe bello che tu potessi essere aiutata da chi ti sta intorno in quante più incombenze possibile, in modo da dedicare tempo al contatto e da avere la serenità e la pace per farcela.
Andrete alla grande :)
Tutti i miei auguri
Caterina
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