Oggi, per la rassegna Io allatto alla luce del sole abbiamo raccolto la testimonianza di Gabriella. Un mamma coraggiosa, il cui allattamento non è andato come sperava, ma che con passione e determinazione ha allattato ben 15 mesi tirandosi il latte, e donando alla sua bambina fiducia e dedizione.
Una storia per dare coraggio a tante mamme, che non sanno se ce la faranno.
Un inizio difficile ed inaspettato
Prima che Victoria nascesse, ho pensato molto all’allattamento. Ho letto, mi sono informata e ho cercato di immaginarmi cosa sarebbe successo. Ho sempre pensato che sarebbe stato fondamentale per lei: assaggiare e incontrare il mondo attraverso la sua mamma Mai avrei pensato di trovarmi di fronte a un muro.
Le mie preoccupazioni delle ultime settimane naturalmente riguardavano il parto: l’ignoto, la scelta di accoglierla in casa, i preparativi, le paure…e poi, quasi senza avvisare, è arrivata tra noi. In semplicità e silenzio. Nel lettone di casa: è lí che fin dai primi istanti ha iniziato a succhiare. È lí che sono cominciati i dolori lancinanti ai capezzoli…e il calvario successivo.
All’inizio l’ostetrica e il pediatra sostenevano che non crescesse abbastanza. Abbiamo aspettato, per darle il tempo necessario ad adattarsi, ma continuava a calare di peso. Così siamo passati attraverso la selva dell’aggiunta di latte artificiale.
Ma, nonostante i dolori continuassero, non ho ceduto ed ho aumentato le poppate, diminuendo progressivamente l’aggiunta, fino a liberarmene.
Io però stavo molto male, non solo fisicamente.
L’ostetrica non mi ha sostenuto in questo, anzi: convinta che fosse solo una questione “psicologica”, mi ha proposto una serie di rimedi naturali, che ho messo puntualmente in pratica, ma senza nessun risultato e con tanta tanta delusione. Ogni volta speravo di potermi liberare dall’incubo del dolore. E invece non succedeva niente, anzi.
Dai dolori sono passata in pochissimo tempo alle ragadi: solchi profondi e sanguinanti. L'attacco era come una coltellata conficcata nella carne e la poppata come uno stillicidio.
Cerco una consulente IBCLC, che viene a casa e controlla attacco, posizione e tutto il resto: tutto perfetto. Non riesce a spiegarsi il perché
Io nel frattempo continuo con vari rimedi naturali. Lanolina, lana di pecora purificata, crema rescue, paracapezzoli in argento... niente da fare.
Ogni volta che la ferita sembra migliorare, la poppata successiva la riapre.
Nel frattempo consulto il medico di famiglia e la ginecologa: tutto a posto. Nessuno capisce perché questo allattamento non funziona.
La bimba cresce e io mi spengo lentamente. Non riesco a dormire perché i dolori continuano ancora dopo la poppata, e mi ritrovo a prendere l’ibuprofene per tirare un po’ il fiato. Ma non serve nemmeno quello.
L’ostetrica mi consiglia di aspettare, che tutto si risolverà. E io mi aggrappo a questa speranza. Le settimane passano, ma non cambia niente…
Ogni giorno mi ritrovo a pensare che forse c’è qualcosa di sbagliato in me. In fondo tutte le mamme riescono ad allattare.
A questo si aggiunge l’isolamento totale in cui mi ritrovo, sia per la lontananza da casa, sia per la mia scelta di continuare a perseverare. Per tutti, familiari e amici, è molto semplice e logico: non ce la fai più? Allora dalle il latte artificiale. Dove sta il problema? Sei pazza a ridurti così. Non ce la farai mai. Guarda come ti stai riducendo. Non è giusto per la bambina...e altre amenità del genere.
Il frenulo corto
Intanto cerco di informarmi, soprattutto grazie al forum Parto Naturale e in particolare a Roberta, che mi racconta la sua esperienza e che, per prima, vedendo una foto della bocca della mia bimba, ipotizza che il problema possa essere il frenulo corto.
Ne parlo con l’ostetrica che non ne sa niente (mai avuto casi simili in quasi 30 anni di esperienza). Mi consiglia una famosa chirurga pediatrica, la quale conferma che la bimba ha il frenulo corto, ma che questo NON costituisce un problema per l’allattamento.
Rimango senza parole: adesso che so perché non riesco ad allattare non posso fare niente per risolvere, perché il frenulo corto non è considerato un problema! La legge qui vieta l’operazione prima del compimento del 6° anno di età (Gabriella non vive in Italia, ndr).
Siamo arrivate a due mesi: termina l’assistenza dell’ostetrica che, tramite un’amica, mi trova il numero di un’altra consulente IBCLC pare molto brava. Mi viene ripetuto che l’attacco è perfetto, che non faccio niente di sbagliato e che potrebbe essere il frenulo la causa delle ragadi. Un vicolo cieco.
Certo potremmo farla operare (Roberta si offre di aiutarmi e mi consiglia questa possibilità), ma dovremmo andare in Italia, viaggiare in aereo, pernottare in albergo… mi sembra troppo per lei. Chiedo anche un parere a un amico di famiglia dentista che mi sconsiglia di operarla, perché c’è il rischio di danneggiare irreparabilmente la bocca. Non ce la sentiamo.
Allattare con il tiralatte
A questo punto siamo a un bivio. Non c’è niente da fare e così non si può andare avanti…rimane solo l’odiosa e odiata ipotesi latte artificiale.
È allora che il tiralatte fa il suo ingresso nella mia vita.
Penso: se riesco a tirarmi il latte un paio di volte al giorno posso integrare il latte artificiale. E così ne noleggio uno supertecnologico e comincia la “mungitura”.
Essendo sola in casa e non avendo nessun aiuto, all’inizio me lo tiro solo quando mio marito è in casa e continuo a darle il seno, che ovviamente non riesce a guarire: ma non ce la faccio a darle il latte artificiale.
Mi sveglio anche di notte: per mantenere la produzione cerco di tirarmelo quando lei mangia...e i risvegli notturni sono la parte peggiore, perché non riesco a recuperare energie.
Poi aumento progressivamente i tiraggi, fino a sostituire il seno. Calcolare la quantità da darle a ogni pasto non è stato facile: ho lasciato che fosse lei a farmi capire quanto e quando.
Praticamente ogni tre-quattro ore mi siedo alla macchinetta, anche con Victoria vicina a me.
I primi tre mesi riesco a calibrare i suoi pisolini con i tiraggi, ma quando aumentano le ore di veglia, si fa tutto più complicato: la tengo vicino a me sul letto e le canto canzoni, mentre mi tiro il latte (facendo attenzione che non giochi con i fili).
Questo ha significato ovviamente rinunciare a tutte quelle possibilità di contatto sociale che una vita “normale” avrebbe consentito: nessun corso per bambini, nessun incontro con le altre mamme, niente. È stata una scelta durissima.
Avrei avuto bisogno di cambiare aria, di avere qualcuno che mi capisse e mi sostenesse, invece mi sono trovata a inventarmi una specie di allattamento ai confini della realtà, sempre in completa solitudine. A travasare, misurare e contare ogni millilitro: avevo un blocchetto dove segnavo ogni giorno quanto latte producevo, quanto ne beveva… e quello che avanzava, prontamente surgelato.
Le poche persone con cui ne ho parlato non solo non hanno capito, ma mi hanno dato della pazza. Solo mio marito sa cosa ha significato, perché lui ha visto e vissuto i sacrifici, la stanchezza, la fatica…e anche la gioia profonda di vederla crescere sana e forte…e paffuta come non mai (è nata di 3,170 chili e a poco più di un anno pesa 12,3 chili!!!).
A ogni complemese pensavo: resisto ancora un mese e poi smetto … e così siamo arrivati all’autosvezzamento.
Poi ho continuato, diminuendo progressivamente i tiraggi. Quando ha compiuto un anno ero arrivata a tre tiraggi al giorno …e lì i capezzoli hanno cominciato prima a spellarsi, poi a sanguinare .. infine ho avuto l’ennesima mastite.
A quel punto ho capito che dovevo smettere: era l’8 marzo. Victoria aveva più di 13 mesi e nel freezer avevo ancora 10 litri di latte surgelato, con cui siamo arrivate al 15° complemese.
Se mi guardo indietro ancora non ci credo. Ho tenuto un diario per lei: perché un giorno possa leggere, sapere e capire.
Questo percorso assurdo e accidentato ha significato molto per il nostro legame. Spesso, strada facendo, ho avuto paura che sentisse la mancanza del seno, che si sentisse meno amata da me, che (quel maledetto) biberon fosse diventato una specie di oggetto di transizione.
Mi sono anche sentita tanto in colpa per questo, ed ho provato rabbia e frustrazione.
Ma lei sapeva e sa. Ha sempre saputo quanto le voglio bene, anche e soprattutto quando io dubitavo di lei. È stata lei che mi ha dato la forza di andare avanti, nonostante tutto e tutti…Questa forza profonda e insperata che mi ha fatto scoprire dentro è un dono speciale, che ci accompagna ogni giorno…e che spero tanto non ci lasci più.
Gabriella
Questo post partecipa alla rassegna Io allatto alla luce del sole 2013
Io allatto alla luce del sole è un'iniziativa che vuole sostenere l'allattamento al seno contribuendo a rendere questo gesto così "normale" ad essere normale davvero, cioè una pratica da inserire in tutti gli aspetti della nostra quotidianità, con facilità, senza timori di sguardi, commenti, consigli fantasiosi e fastidiosi, nel rispetto delle scelte di ciascuna madre, bambino, famiglia. Perchè ogni mamma possa sentirsi libera di allattare il proprio bambino quando e quanto lo desidera.
Immagine: dao hodac su flickr
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