I media, in Italia e altrove, hanno ripreso questo articolo e ne stanno diffondendo il discutibile messaggio in un modo che potrebbe confondere le madri e le famigliecon una conseguente riduzione della percentuale di donne che allatta esclusivamente al seno per 6 mesi, periodo raccomandato anche in Italia dal Ministero della Salute e da numerose associazioni professionali. Il quotidiano La Stampa, per esempio, titola "Troppe poppate fanno male" ( pag. 27 del 15 gennaio) quando non esiste nessuna ricerca e nessun ricercatore al mondo, nemmeno gli autori dell'articolo britannico, che possano dimostrare danni da allattamento al seno.
È curioso che suscitino molto interesse gli articoli che spingono ad allattare di meno, mentre non destano il benché minimo scalpore la grande quantità di studi che dimostrano come, anche nel ricco occidente, i bambini alimentati con latte artificiale o svezzati troppo presto con cibi solidi corrano il rischio di contrarre numerose malattie, da numerose infezioni all'obesità, con altissimi costi per l'individuo, la famiglia, il sistema sanitario, la società e l'ambiente. Non sarà per eccesso di riverenza nei confronti delle multinazionali e delle loro inserzioni pubblicitarie?
È altrettanto curioso come buone pratiche per proteggere la salute dei nostri bambini a costo zero passino in sordina. Un esempio? L'articolo del British Medical Journal paventa tra gli altri il rischio di anemia nei bambini allattati esclusivamente al seno fino ai 6 mesi. L'argomento "ferro" e "anemia" è in gran voga ultimamente, come dimostrano le campagne pubblicitarie di alimenti per l'infanzia. Non tutti sanno però che per aumentare efficacemente le riserve di ferro di un neonato e prevenire l'anemia è sufficiente attendere un paio di minuti prima di tagliare il cordone ombelicale al momento del parto. Una pratica del tutto gratuita, priva di rischi, e che rende inutile, per la maggior parte dei bambini, l'uso di alimenti fortificati in ferro (con buona pace di chi li produce).
Chi si occupa di salute dovrebbe informare i genitori che l'indicazione sull'età del cosiddetto svezzamento (il termine corretto è "alimentazione complementare" poiché si tratta, appunto, di introdurre cibi idonei all'età del bambino, proseguendo l'allattamento al seno) è un riferimento generico: si tratta, infatti, di raccomandazioni di salute pubblica, valide a livello di popolazione generale.
Per fortuna i nostri bambini non leggono né le raccomandazioni dell'OMS né gli articoli del British Medical Journal, ma si sanno regolare in base alle loro tappe di sviluppo e ai loro bisogni nutritivi: ogni mamma ed ogni pediatra o altro operatore sanitario sanno benissimo che ci sono dei bimbi che sono pronti ad aggiungere altri cibi al latte materno prima dei 6 mesi (anche se sono rarissimi i bimbi pronti a 4 mesi), come ce ne sono che a 6 mesi non sono ancora pronti, ed allora bisogna aspettare i 7 o gli 8 mesi, continuando ad offrire, senza forzare, cibi sani e sicuri.
L'introduzione di altri alimenti in aggiunta al latte materno è una delle tante tappe dello sviluppo del bambino, e così come per camminare o parlare c'è una grande variabilità da un bimbo all'altro: non tutti i bambini camminano a 12 mesi, ma un genitore non si preoccupa se a quell'età suo figlio non cammina. Come mai non si trasmette la stessa serenità rispetto all'alimentazione? Forse perché, purtroppo, ci stanno dietro enormi interessi economici, e spesso articoli e ricerche pilotati ad arte.
Perché l'articolo del British Medical Journal ed il modo in cui lo presentano i media fanno acqua?
- È presentato come un "nuovo studio", cosa che non è, trattandosi semplicemente dell'opinione personale degli autori sulla base di una loro lettura di articoli già pubblicati da molti anni. Autori che tra l'altro non dicono come hanno scelto gli articoli che discutono, di che qualità siano, e quanto siano solide le rispettive argomentazioni.
- Tre dei quattro autori dell'articolo, Mary Fewtrell, Alan Lucas e David Wilson, dichiarano di aver ricevuto finanziamenti da industrie di alimenti per l'infanzia, non per questo articolo ma per altre loro ricerche ed attività. Questo non li rende certo al di sopra di ogni sospetto. §
- Gli autori non mettono in discussione la superiorità dell'allattamento al seno rispetto all'alimentazione artificiale, né la raccomandazione di continuare ad allattare anche dopo l'introduzione di alimenti complementari, fino a 2 anni ed oltre come dice l'OMS, o fino a quando madre e bambino lo desiderino come dice il Ministero della Salute. Gli autori mettono solamente in dubbio l'età media di introduzione dei primi alimenti in un bambino allattato al seno. Affermano che la raccomandazione dell'OMS (6 mesi) si basa su poche certezze: 18 studi, tra i quali solo 2 controllati e randomizzati, cioè del tipo che offre maggiori certezze. Ma nel mettere in dubbio le prove fornite dall'OMS gli autori citano una quindicina di articoli pubblicati dopo il 2001, cioè dopo le raccomandazioni dell'OMS, nessuno dei quali però offre maggiori certezze rispetto ai 18 studi citati dall'OMS. Anzi, molti di questi studi sono più deboli dei precedenti, ed alcuni portano addirittura acqua al mulino dell'OMS.
- Gli autori citano poi, scorrettamente, due studi controllati e randomizzati tuttora in corso in Gran Bretagna, quasi a dimostrare che, se si fanno questi studi, è perché ci sono dubbi sulle raccomandazioni OMS. Ma non ha senso citare studi non ancora conclusi né pubblicati a sostegno delle proprie opinioni, dato che non si sa nemmeno a quali conclusioni porteranno.
- Senza portare nessuna prova, l'articolo suggerisce che una ritardata (a 6 mesi) introduzione di alimenti complementari potrebbe favorire l'obesità. Secondo gli autori, è meglio anticipare l'assaggio di nuovi sapori, soprattutto quelli amari tipici delle verdure, per abituare il bambino ad apprezzarli e gradire quindi, più avanti con l'età, una dieta variata. Gli autori si dimenticano di dire che il bambino allattato al seno (e prima ancora durante la gravidanza) ha già sperimentato tutti questi sapori, che passano nel latte materno (e nel liquido amniotico). Inoltre l'obesità potrebbe essere dovuta a fattori indipendenti dall'allattamento e dalla sua durata: il rischio legato ai cibi spazzatura e alle bibite zuccherate (prodotti dalle stesse multinazionali che producono cibi per l'infanzia) è noto da molti anni!
- Portando a sostegno delle loro tesi articoli che in originale presentano già i loro risultati come preliminari e bisognosi di conferme, gli autori suggeriscono anche che una ritardata (a 6 mesi) introduzione di alimenti complementari potrebbe favorire l'insorgere di allergie e celiachia. Si tratta solo di ipotesi. La Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica aveva già discusso l'ipotesi della celiachia alla fine del 2009 ed aveva considerato le prove disponibili insufficienti a fornire certezze. Quanto alle prove riguardanti le allergie, si tratta pure in questo caso di ipotesi, legate del resto al fatto che tuttora si ignora l'origine delle allergie.
Articoli come quello britannico hanno l'unico risultato di creare confusione nei genitori e con ogni probabilità vanno a vantaggio solamente di chi produce alimenti per l'infanzia, dato che permette di guadagnare una considerevole fetta di mercato, cioè quella dei bambini tra i 4 e i 6 mesi.
I giornalisti e i media dovrebbero approfondire in maniera indipendente da altri interessi l'argomento, prima di contribuire ad aumentare la confusione.
In rete sono reperibili numerosi altri commenti in inglese all'articolo originale, citiamo: quelli delle risposte rapide sullo stesso sito del British Medical Journal, di Baby Milk Action, e altri.
Per ulteriori informazioni:
Comunicato Stampa IBFAN
IBFAN Italia www.ibfanitalia.org
MAMI Movimento Allattamento Materno Italiano www.mami.org
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