Tra i sorrisi di coloro che mi stavano davanti ne ho sentito uno leggero, a fior di labbra, come un soffio d'aria; non era un sorriso vero, era un sorriso solo immaginato: quello delle mie due nonne, mamme lontane nel tempo, con abitudini diverse, differenti concezioni di ciò che una donna doveva fare o saper fare.
Io stiro malamente, mi dedico alle faccende di casa in maniera frettolosa, anche se amo cucinare, dedicare tutte le cure possibili a quel momento fatto di piatti caldi, chiacchiere e sguardi che ci regaliamo come famiglia. Uso la lavatrice, la lavastoviglie, mi affido al lavaggio a secco della lavanderia; anche se con scarsa frequenza, vado dal parrucchiere e dall'estetista; guido la mia macchina, ogni tanto esco a cena con le amiche, navigo su internet, pago con la carta di credito con i soldi guadagnati col mio lavoro d'ufficio. Tutte piccole grandi differenze con chi doveva lavare gli antenati di stoffa dei pannolini – una delle mie nonne, nell'acqua gelata di montagna - pulendo, lavorando, faticando solo con le proprie mani, la propria schiena, le proprie gambe senza ricevere uno stipendio. La casa e i campi erano il regno delle mie nonne, mentre io trascorro più di dieci ore al giorno tra le mura di un ufficio, in un'azienda che non è mia.
Io non sono un angelo del focolare eppure so che le mie nonne sarebbero fiere di me e soprattutto, so che riservo al pianto del mio bambino lo stesso abbraccio accogliente e consolatorio che loro dedicavano a mia mamma, a mio babbo e ai miei zii.
Le mamme cambiano, ma in fondo non cambiano mai.
di Monia Scarpelli, autrice di “Mani di vaniglia: nascita di una mamma in 40 settimane”
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