Sono rientrata nel mio ufficietto dalle pareti grigie, nella mega azienda in cui lavoro, quando l'erede aveva circa 7 mesi; era il momento lo sentivo: aspettare ancora avrebbe creato qualche problema economico in più, oltre a rendere ancora più drammatico il distacco da quel fagottino profumato (mica sempre!) e odoroso di latte.
Il primo giorno l'ho passato praticamente in trance, rientrando a casa con una domanda in testa: “Ma ci devo tornare anche domani? Sicuri?”
Il latte, che fino a poche settimane prima mi aveva fatto dubitare di far parte della famiglia dei bovini piuttosto che degli umani tanto era abbondante, se n'è andato di botto, così! Chiuso il rubinetto e chi s'è visto, s'è visto! Gli ormoni ancora ballavano un jive dal ritmo frenetico che non mi dava tregua: sudavo come fosse ferragosto, avevo sempre una taglia di reggiseno in più, il mio bacino si era allargato e aveva deciso di prendere una forma diversa che non piaceva ai miei vecchi completi da lavoro.
“Tu?! Chi... essere... tuuu?!”
Vorrei proprio saperlo, caro il mio Brucaliffo. Chi sono? Chi mi sento di essere? E soprattutto, cosa sono diventata? A volte mi sembrava di essere un'equilibrista, anche dalle indiscusse capacità, tanto determinato era il mio passo su quel sottile filo che divideva le mie emozioni di mamma tutte nuove da quel vecchio ruolo lavorativo che doveva evolversi. Forse la risposta era questa: un'equilibrista!
“Non essere esattevolmente così!”
Mi avrebbe risposto quell'animaletto irascibile e sgrammaticato, ma in fondo mi avrebbe capito: anche lui alla fine del suo litigio con Alice si trasforma in una splendida farfalla. Ad una mamma che torna al lavoro, però, spesso per riprendere il volo ci vuole un po' di più, tanto che sembra di non riuscire ad uscire da quel bozzolo che ci trattiene. La buona notizia è che alla fine, che ci crediate o no, questo avviene e voliamo più alte di prima.
di Monia Scarpelli, blogger, scrittrice e autrice di “Mani di vaniglia: nascita di una mamma in 40 settimane”