Nascita “fusion”

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Sei venuto al mondo nel primo giorno di ferie del tuo babbo. Prima dote: il tempismo!

Attorno a noi una camerata che sembrava uscita da un racconto: eravamo gli unici italiani, il resto del mondo si stendeva accanto a noi passando per il Messico, le Filippine, l'Albania e l'Honduras. La prima notte l'ho passata con un occhio aperto, come fanno i gatti quando sonnecchiano, sbirciando dentro la culla in cui dormivi sopraffatto dal tuo salto nel mondo, completamente abbandonato alla vita, le braccia larghe e le mani a pugno, le labbra appiccicate in un cuore.

La più dolce insonnia, alla luce blu di un corridoio ospedaliero.

La mattina dopo ho fatto il primo cambio di pannolino, la prima medicazione al cordone ombelicale  reciso come un fiore, tutto sotto gli occhi delle altre mamme, avanti rispetto a me di qualche giorno. Ognuna di noi osservava l'altra con gli occhi pieni delle proprie origini diverse e di un nuovo sentimento uguale per tutte; la piccola messicana, dai capelli neri come la pece, mangiava in una maniera così vorace che sembrava voler risucchiare la mamma. Aveva guance piene, occhietti vispi e si produceva nei migliori ruttini post-prandiali della camerata. Aveva l'ittero e se ne stava buona sotto la lampada nella nursery, come stesa sotto il sole a Playa del Carmen.

Il maschietto in fondo alla mia fila aveva una bellissima mamma honduregna e un padre bianco come un vichingo. Se ne stava tranquillo tra le braccia della madre, poggiato al suo seno giunonico, cambiando incredibilmente la sfumatura della sua pelle di giorno in giorno.

Anche la ragazza filippina aveva partorito un maschietto, un uccellino minuscolo come il mio, di cui abbiamo sentito a malapena la voce, perchè la mamma se lo stringeva subito al petto appena emetteva il primo vagito.

La ragazza albanese accanto a me era l'unica ad aver partorito il suo secondo figlio, anche lui un maschietto e guardava dentro la culla, dove tu dormivi ancora, storcendo un po' la bocca:

“E' piccolo”

“Sì - ho detto - non è che potesse venire troppo grande date le proporzioni della mamma” ho risposto sorridendo. Lei non ha capito lo scherzo, ma ha continuato:

“I più piccoli sono più forti: mangiano di più per recuperare”

A me non importava: mi sembravi solo perfetto.

In quel momento è arrivata la sua primogenita, due occhioni blu che spuntavano sotto una massa di ricci castani: ha guardato dentro ad ogni culla, salutando con la manina e regalando a tutti un sorriso; poi è andata dal suo nuovo fratellino e lì si è fermata un po' di più, prima d'iniziare a volteggiare come una farfalla di nuovo tra una culla e l'altra.

La guardavo compiaciuta, con la felicità che si riserva ad un messaggio di speranza: la vita, da allora,  sarebbe stata tua e di quel colorato, disomogeneo, coloratissimo mondo in cui eravamo tutte mamme diverse e allo stesso modo.

di Monia Scarpelli, blogger, scrittrice e autrice di “Mani di vaniglia: nascita di una mamma in 40 settimane

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