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Nascita lotus in Sardegna: aprire una strada e curare la propria ferita

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La mia prima bambina, Alice, nacque in ospedale, dopo tante ore di travaglio. Nonostante fosse un parto fisiologico reputarono giusto somministrarmi nella fase espulsiva ossitocina sintetica e praticarmi la Kristeller.
Osservai tutte le prassi ospedaliere e mai mi soffermai a pensare se davvero quello fosse il modo migliore per far venire al mondo un bambino… così si era sempre fatto e cosi, probabilmente era giusto fare. Non era mia competenza decidere in merito a certe questioni, ma degli operatori sanitari…questo era ciò che credevo, almeno sino a quando non scoprii che se c’ è qualcuno competente in materia di nascite, beh…quella è la madre.

La mia seconda bambina, Sofia, nacque anch’essa in ospedale, dopo pochissime ore di travaglio e con un “Lotus birth” (la nascita senza recidere il cordone).


La prima volta che sentii parlare di questa modalità di nascita ero al sesto mese di gravidanza e proprio per questo non lo reputai un caso. Fu un’ amica a raccontarmi della sua nipotina nata con la placenta. Ne fui affascinata e immediatamente cominciai a documentarmi.
Lessi il libro di Shivam Rachana e mi convinsi che quello era il modo in cui avrei voluto accogliere la mia Sofia, quello era quanto di più prezioso potessi regalarle. Mio marito mi appoggiava pienamente.

Da noi in Sardegna, però, non c’erano mai stati altri casi di lotus in un ospedale pubblico. Quello della mia zona, in cui avevo partorito la mia prima figlia, non era disposto ad accogliere la mia richiesta. Il mio ginecologo fu categorico “qui non si possono fare cose del genere e non troverai nessun ospedale pubblico disposto a farlo. Esistono prassi e protocolli da rispettare…”
Mi resi conto che riuscire a realizzare il mio desiderio era più difficile di quanto potessi pensare; e dire che non volevo si facesse nulla… chiedevo solo di non fare nulla!

Non riuscivo a capacitarmi del fatto che non ero padrona delle mie scelte e che altri avrebbero dovuto stabilire come sarebbe dovuto avvenire il mio parto, come se fosse l’estrazione di un dente, senza prendere in considerazione tutta quella sfera emotiva ed emozionale di cui è intriso l’ evento nascita. Non era giusto!

Decisi di cercare un altro ospedale nella provincia di Cagliari, anche se questo avrebbe significato fare più di cento chilometri per andare a partorire. Trovai una clinica privata in cui era possibile non effettuare il taglio del cordone e portare a casa il bambino ancora collegato alla placenta.
Finalmente… non riuscivo a credere di aver trovato la mia oasi tranquilla, in cui partorire la mia bambina nel rispetto delle mie esigenze. Ma non sapevo ancora che di li a poco la clinica avrebbe chiuso il reparto di ostetricia, proprio poche settimane prima del mio parto. Buio! Dovevo ricominciare tutto daccapo.

Vagliai la possibilità di partorire in casa, ma per me era troppo costoso…purtroppo. Non mi persi d’ animo, la mia motivazione era più forte degli ostacoli che mi si presentavano. I miei sforzi furono ripagati, al SS Trinità di Cagliari trovai accoglienza e infinita disponibilità nella capo reparto che mi rassicurò sulla possibilità di fare il Lotus, conosceva questa pratica e credeva nella sua importanza, e come lei anche alcune sue colleghe e ostetriche del reparto.
Tuttavia gran parte del personale non la pensava allo stesso modo, ma questo lo scoprii solo quando arrivai in ospedale, proprio il giorno in cui era previsto il mio termine gravidanza.

Avevo le membrane rotte già da parecchie ore, ma il travaglio che alla mia partenza sembrava essere avviato si bloccò appena misi piede in ospedale. Evidentemente l’ ambiente non era rassicurante per me. Il personale di turno sapeva che ero “quella del lotus” e si dimostrarono tutti palesemente intenzionati ad ostacolarmi.
Dal mio arrivo in ospedale al momento del parto sono trascorse più di 24 ore. Le più lunghe della mia vita, in cui ho subito vere e proprie violenze psicologiche da personale poco professionale e per nulla umano.
Finalmente, però, alle 11 di sera nacque la mia Sofia. Dopo 4 ore di travaglio…travaglio avvenuto in una sala tracciati deserta in cui mi ero rifugiata insieme alla mia cara ostetrica Susanna, che mi aveva accompagnato negli ultimi due mesi di gravidanza.
Ho partorito in una sala travaglio con delle ostetriche di turno bravissime, che cercavano in tutti i modi di proteggermi dall’interventismo della ginecologa.

Tutto il caos in cui venni travolta dal mio ingresso in ospedale svanì. C’ ero solo io con la mia piccola, integra, con la sua placenta e il suo cordone. Non permisi a nessuno di portarmela via, di lavarla, misurarla, pesarla o aspirarla. Me la portai via nella mia stanza e passammo la notte nello stesso letto…non volli nemmeno una culletta. La coccolavo e la osservavo…osservavo il suo cordone, ormai bianco e flaccido e guardavo la placenta con infinito senso di gratitudine per aver permesso al mio corpo di nutrire e proteggere Sofia per nove mesi. Per tanto tempo aveva fatto da tramite tra noi e ancora adesso era li al servizio della mia bambina e sarebbe rimasta con lei ancora sino a che non sarebbe stata pronta a separarsene. Il giorno dopo la mia ostetrica lavò la placenta e la salammo.

Decisi di firmare le dimissioni anticipate per me e per Sofia. Volevo tornare a casa al più presto per stare con la mia famiglia. I giorni del lotus sono stati per noi curativi. Le nostre nascite avvenute in modo così violento e irrispettoso dei nostri tempi sono state risanate. La placenta di Sofia era la placenta di tutti noi. Alice la guardava con amore, la accarezzava e si prendeva cura di lei, la salava e la fasciava. Sofia sussultava ogni volta che la toccavamo per trattarla…Inizialmente sembrava impegnativo gestire un neonato collegato ancora alla sua placenta, ma con il passare dei giorni questa sensazione sparì del tutto… era del tutto naturale prendere in braccio Sofia e con lei la sua placenta e prendersi cura di entrambe…

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La sesta notte mentre Sofia dormiva, lasciò andare via la sua placenta. Aveva un’ aria beata ed era pronta per separarsene….io no. Piansi. Avevo bisogno di tenerla ancora con me. Alice la piantò un mese più tardi sotto un albero di melograno, ma il cordone…quello lo tengo ancora, custodito come un tesoro prezioso. La ferita della mia nascita era, evidentemente, più grande di quello che pensavo…anzi a dire il vero tempo fa ignoravo totalmente di avere una ferita da nascita.


Questa è stata l’ esperienza più forte della mia vita. Mi ha cambiata nel profondo; mi ha insegnato il rispetto per la nascita e la sacralità assoluta di questo evento così grandioso! Quando nasce un bambino tutto si ferma, appare l’ eterno in un solo istante. Attorno al nostro Lotus c’era tanta curiosità, ma non credo che nessuno ne abbia davvero colto l’essenza e il significato profondo…

nascita lotus3 small

Abbiamo lottato tanto, con la determinazione che solo una madre convinta di fare il bene per il proprio figlio può avere, ma ne è valsa la pena… per la mia famiglia e per le famiglie di tutti gli altri bimbi che dopo Sofia sono nati in ospedale con un Lotus birth come lei.
Un grazie infinito a Susanna e Anna Paola.

di Carla Mura

Per Carla con la nascita delle sue figlie è nato anche un percorso che l'ha portata a seguire una formazione come doula  con Piera Maghella e, insieme ad altre doule sarde, a dare vita all'associalzione MAMAI, che si occupa di sostegno alla gravidanza, parto e genitorialità consapevole, oltre che allattamento, dopo nascita e parto. Un'ottima occasione di supporto e sostegno per chi, in Sardegna, vuole trovare condizioni di nascita rispettose. Nell'associazione vi sono anche 3 ostetriche che si occupano di parti a domicilio. Per contattare l'associazione: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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